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O que arde

Verrà il fuoco

O que arde / CinemaSpagna 2020

REGIA
Oliver Laxe

SCENEGGIATURA
Santiago Fillol, Oliver Laxe

FOTOGRAFIA
Mauro Herce

MONTAGGIO
Cristóbal Fernández

MUSICA
Xavi Font

PRODUZIONE
4A4 Productions, Miramemira, Tarantula

CON
Amador Arias, Benedicta Sánchez

ANNO
2019

NAZIONALITÀ
Spagna - Francia-Lussemburgo

DURATA
98 min.

PREMI

  • Festival di Cannes 2019 – Un certain regard
    Premio Speciale della Giuria
  • Premio Goya 2020:
    Miglior Attrice emergente (Benedicta Sánchez) e Miglior Fotografia (Mauro Harce)
  • Mar del Plata Film Festival 2019:
    Miglior Film e Miglior Sceneggiatura

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O que arde

Verrà il fuoco

Terzo lungo firmato da Oliver Laxe, punto di riferimento del cinema d’autore del nuovo cinema spagnolo, indicato da Bong Joon-ho come uno dei cineasti più promettenti nel prossimo cinema mondiale.
Il film, che si apre con un conturbante carrello notturno tra gli alberi schiacciati da una motosega sulle note ipnotiche di Vivaldi, segue Ramon, un piromane che dopo aver scontato la sua pena in carcere, torna a casa nelle verdi colline di Lugo, Galizia. Ma nessuno in realtà è lì ad attenderlo: ripara dalla madre unico baluardo a difesa del bosco minacciato da una possibile ricaduta del figlio, dalla rottura di un precario equilibrio che incombe sulle loro vite.
Film lirico, potente, in cui Laxe cerca nuovamente di visitare la zona di confine tra cinema di finzione e cinema del reale che genera ibridi artistici autentici. “O que arde”, Premio della Giuria Un certain Regard all’ultimo Festival di Cannes, è una vibrazione tra la più riuscite dell’ultima stagione.

La Nueva Ola //

“Oliver Laxe scolpisce un film austero e molto potente sulle forze della natura”

“È il piromane che ha bruciato l’intera montagna di Lugo. È un povero ragazzo”. Questo uomo taciturno marchiato a fuoco dalla società è il filo conduttore dell’impressionante O que arde, il secondo lungometraggio di finzione di Oliver Laxe, vincitore del Grand Prix della Semaine de la Critique a Cannes nel 2016 con Mimosas. Di ritorno per la terza volta (su tre film) sulla Croisette dove si è rivelato nel 2010 alla Quinzaine des Réalisateurs con il documentario Todos vosotros sóis capitanes, il cineasta franco-spagnolo continua la sua ascesa nel gotha degli autori internazionali poiché il suo nuovo lavoro è giunto alla Selezione ufficiale, nel programma Un Certain Regard del 72° Festival di Cannes. Una progressione del tutto meritata grazie alle sue eccezionali qualità cinematografiche incentrate sull’incredibile potenza di immagini e atmosfere che trascendono un realismo quasi documentario e arrivano a sorprendere lo spettatore in contrappunto a una trama volutamente austera.

Al termine di un prologo ultra coinvolgente a livello visivo e sonoro, con i fari delle macchine edili che squarciano l’oscurità della notte mentre aprono un buco nella foresta, abbattendo un numero impressionante di eucalipti prima di fissarsi di fronte a un albero maestoso, il film segue le orme del suo protagonista, Amador (Amador Arias), un quarantenne rilasciato dopo due anni di carcere, che prende l’autobus per raggiungere il suo villaggio natale, in Galizia. Di ritorno nella casa isolata nel cuore delle montagne dove vive la sua vecchia madre Benedicta (Benedicta Sanchez) che accetta di ospitarlo senza fare domande superflue (“Posso rimanere per un po’? – Hai fame?”), il nostro uomo iper laconico si immerge in una routine quotidiana che consiste nel portare al pascolo le loro tre mucche, accompagnato dal cane Luna. Un po’ più lontano, alcuni vicini ristrutturano un edificio nella speranza di attirare turisti e nel villaggio che frequenta molto poco, Amador viene ignorato o raramente preso in giro (“hai da accendere?”) in segno di rispetto per la sofferenza che ha sopportato sua madre. Un rigido inverno scorre sotto le piogge torrenziali nella routine minimalista della vita quotidiana della madre e di suo figlio profondamente immersi nella natura. Poi giunge la primavera, e con essa una simpatica veterinaria (Elena Fernández) appena arrivata nella regione, prima dell’arrivo dell’estate, la stagione più pericolosa per gli incendi boschivi…

Affidandosi al notevole lavoro del direttore della fotografia Mauro Herce, Oliver Laxe crea un’opera sorprendente la cui asciuttezza narrativa è compensata dall’intensità delle sequenze quando il film vira improvvisamente nel cuore dell’incendio. Una vera prodezza di messa in scena che ricompensa profumatamente la pazienza precedentemente richiesta dalla narrazione estremamente spoglia e che dà la priorità alle sensazioni dello spettatore. Perché nel cinema, quando c’è l’eccellenza, e come dice su un altro tema uno dei personaggi del film, “per apprezzare la musica, non è necessario capire le parole”.

Alfonso Rivera, Cineuropa

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