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Alamar

Alamar

REGIA
Pedro Gonzáles-Rubio

CON
Jorge Machado, Roberta Palombini, Natan Machado Palombini, Nestór Marín

ANNO
2009

NAZIONALITÀ
Messico

DURATA
73 min.

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Alamar

Alamar

Matraca è un uomo anziano ed esercita la pesca con metodi antichi nel Banco Chinchorro, un'estesa barriera corallina nei mari del Messico. Un giorno suo figlio Jorge lo raggiunge con il nipotino, Natan, nella sua piccola palafitta. Natan ha cinque anni e vive a Roma con la mamma, Roberta. Prima che il piccolo inizi ad andare a scuola, Jorge vuole fargli conoscere il suo mondo. Giunti a Banco Chinchorro, Natan e Jorge accompagnano ogni giorno il nonno a pescare. Natan scopre una profonda connessione con la natura, imparando a perlustrare l'affascinante mondo che si cela sotto la superficie marina.
Ci sono film che nascono da un'urgenza più che da un progetto esclusivamente cinematografico. L'urgenza in questo caso è quella del regista Gonzàlez-Rubio il quale ha compreso, vivendo nell'area, che il Banco Chinchorro, dichiarato Riserva Naturale della Biosfera nel 1996 dall'UNESCO, sta diventando sempre più un'eccezione in un ambiente sempre più contaminato dalla distruzione della barriera corallina per lasciare spazio a navi da crociera che trovano sulla costa catene di hotel certamente non rispettose dell'ecosistema.

Il film non risente per nulla degli 8 anni di attesa perché l'intensità della narrazione e la qualità delle immagini sono rimaste comunque efficaci. Il rapporto tra Jorge e Roberta è mutato ma l'amore nei confronti del piccolo Natan è rimasto uguale da parte di entrambi. Gonzàlez-Rubio non vuole proporre una contrapposizione manichea tra la vita che il bambino trascorre in città con la madre e ciò che condivide con il padre. Il suo obiettivo è diverso: vuole mostrarci come il rapporto parentale (ivi compreso il nonno) trovi nella Natura incontaminata una Grande Madre capace di dare vita e significato alla quotidianità di uomini (le donne in questi microcosmo sociale non compaiono anche se sono determinanti per la vita dei loro compagni).
Torna alla memoria il cinema del grande Folco Quilici con in più lo sguardo di un regista che vive in loco e che quindi non solo sa fondere finzione e realtà ma trova in quest'ultima l'occasione per lanciare un messaggio in una bottiglia che è universale ma si rivolge anche a chi non vorrebbe rispettare in loco un sistema di relazioni Uomo-Natura che invece va preservato con cura.

Latinoamericana //

Alamar ci ha messo otto anni per arrivare sui nostri schermi. Il film-documentario del regista messicano Pedro Gonzáles-Rubio risale al 2009 e si pone l’obiettivo di portare i suoi spettatori nelle acque di una delle barriere coralline più suggestive del mondo, a bordo di una barchetta bianca e in compagnia di tre generazioni: nonno, padre e figlio.

Alamar è un prodotto ibrido. Non è un film. Non è un documentario. È qualcosa che sta nel mezzo e lo fa in maniera egregia.

Gonzáles-Rubio ci porta piano piano a scoprire un mondo ai più sconosciuto. Un mondo inesplorato e, per questo, paradisiaco nel senso più stretto del termine. La scoperta avviene grazie ad un giovane e genuino protagonista: si chiama Natan, sua madre è italiana, suo padre è messicano. I due si sono amati e, come dice mamma Roberta, “si sono incontrati solo per fare Natan”, ma davanti all’ampia diversità delle loro vite, si sono separati. Ora Natan sta per partire, andrà in Italia, a Roma, ma prima è necessario che saluti come si deve suo nonno paterno, il pescatore “Matraca” di Banco Chinchorro. È un saluto pregno di significato, immerso in una natura incontaminata e bellissima, in un selvaticume che – lo sappiamo già – gli mancherà per tutta la vita.

È un’esperienza strana quella che ci costringe a vivere Alamar. Ci ritroviamo sognanti, a fissare quelle acque cristalline e quella vita semplice, fatta di pesca all’antica, infinite tazze di caffè e una palafitta di legno.

Sogniamo in quasi assoluto silenzio, rotto solo dai dialoghi – veri e pensati -, da qualche canzone in spagnolo e dal rumore, qualche volta assordante, del mare. Quello di Gonzáles-Rubio è un documentario calato nella bella cinematografia; è il racconto di un’intera comunità, di un modo di vivere, attraverso la compagnia di un bambino che scopre – contemporaneamente dicendo addio – una natura totalmente e splendidamente incontaminata.

Alamar

Per tutto il tempo, vi ritroverete a pensare solo una cosa: Alamar è paesaggio e intimità, è natura e famiglia. Alamar racconta con poche parole, immagini essenziali e magnifiche, una cinematografia volta a sfruttare il più possibile la bellezza di ciò che la circonda, senza artifici. Proprio come la vita a Banco Chinchorro, di chi non vuole e non vorrebbe altro dalla vita che fissare il mare e le stelle che vi si riflettono.

Insomma, forse l’occasione di vedere Alamar e la meraviglia negli occhi di Natan sul grande schermo di un cinema andrebbe colta. In fin dei conti l’effetto collaterale è solo uno: vorrete abbandonare tutto e vivere il resto dei vostri giorni su una palafitta della baia messicana.

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