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Un chien andalou

Un cane andaluso

REGIA
Luis Buñuel, scritto assieme a Salvador Dalí 

CON
Luis Buñuel (uomo con il rasoio), Simone Mareuil (la ragazza), Pierre Batcheff (il ciclista), Fano Messan (l'androgino), Jaime de Miravilles, Salvador Dalí, Marval (i frati), Robert Hommet.

ANNO
1929

NAZIONALITÀ
Francia

DURATA
21 min.

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Un chien andalou

Un cane andaluso

"C'era una volta…": un uomo affila un rasoio, una nuvola sottile attraversa la luna piena, l'uomo taglia l'occhio di una donna. "Otto anni dopo": un ragazzo su una bicicletta cade a terra; una donna lo vede dalla finestra e scende in strada per baciarlo. La donna distende sul suo letto gli strani indumenti del ciclista, il quale si rianima nei suoi capi di vestiario. I due, dalla finestra, vedono una giovane dall'aspetto androgino che giocherella con una mano amputata prima di venire investita da un'auto. Nella stanza, l'uomo importuna la ragazza. Questa fugge… in una stanza identica; l'uomo la insegue, ma la sua mano rimane incastrata in mezzo alla porta; il palmo è pieno di formiche che si agitano. "Verso le tre del mattino": suonano alla porta; l'uomo è di nuovo disteso sul letto; appare un suo sosia, più giovane, che getta i suoi indumenti dalla finestra. "Sedici anni prima": l'intruso viene colpito da un proiettile e cade a terra in un parco. La ragazza passeggia sulla spiaggia con un altro accompagnatore. "In primavera": gli insetti divorano i due, sepolti nella sabbia.

Film tra i più celebri, misteriosi e impressionanti della storia del cinema, l'opera prima di Luis Buñuel, come una sorta di premonizione, non fu girata nel suo paese natale, così come, due anni più tardi, sarà francese anche il successivo L'âge d'or. Il regista dovette poi aspettare altri due anni per poter realizzare il suo primo film spagnolo, il duro documentario sociale Las Hurdes (noto anche come Tierra sin pan, 1932), censurato dal governo della Seconda Repubblica al quale si sarebbe poi opposto Franco nel 1936, scatenando la Guerra Civile e allontanando Buñuel dalla Spagna fino a Viridiana, film proibito e privato della propria nazionalità, e a Tristana (1970). Di un'opera come Un chien andalou, la cui brevità contribuisce ad accrescerne l'indecifrabilità, sono state azzardate interpretazioni e spiegazioni di ogni tipo, la maggior parte delle quali insufficienti: si è detto che si tratta di un film 'surrealista', come se questo spiegasse tutto; che è basato su un sogno; che mescola idee di Buñuel e di Salvador Dalí; che è stato 'costruito' in fase di montaggio. Simili spiegazioni possono anche essere utili, ma con ogni evidenza non esauriscono il film, né tantomeno incrinano la sua ambiguità essenziale, che è poi la matrice fondante di tutto il cinema di Buñuel. Per quanti rifiutano di accettare in un film ciò che sarebbero disposti ad ammettere in un componimento musicale, in un quadro astratto o in una poesia, la cosa più irritante di Un chien andalou è che sembra fatto apposta per ostacolare o smentire qualsiasi tentativo di spiegazione causale, logica o razionale. Che tale strategia di destabilizzazione del senso non sia frequente nel cinema non significa che essa sia impossibile, e non bisogna dimenticarne la presenza anche in altri film di Buñuel come El ángel exterminador (L'angelo sterminatore, 1962) e Cet obscur objet du désir, oltre al già citato L'âge d'or; oppure in film quali The Birds (Gli uccelli, 1963) di Alfred Hitchcock, o L'année dernière à Marienbad di Alain Resnais.

Innanzitutto lo sviluppo del film non è cronologico; nella forma in cui esso venne presentato nel 1928 e in cui lo vediamo oggi, malgrado le successive manipolazioni (per la maggior parte frutto di intenzioni buone, ma non sempre felici), risulta impossibile definire una sequenza temporale durante la proiezione, ed è difficile farlo mentalmente una volta che questa sia terminata. Il senso di disorientamento, prodotto da una narrazione interrotta non appena pare avviarsi, dissolve qualsiasi legame causale e trasforma in ipotetico e onirico tutto ciò a cui assistiamo, destabilizzandolo non appena osiamo riconoscere una successione logica tra le stranissime azioni che ci vengono mostrate. Questo senso di disorientamento è ugualmente dovuto alle didascalie (mere indicazioni temporali), cosa che ha dato consistenza all'ipotesi che tale struttura sia stata creata 'a posteriori', secondo alcuni per la scarsa continuità del materiale girato, vuoi per mancanza di fondi o di capacità, vuoi per insanabili disaccordi sorti tra Dalí e Buñuel. E forse fu proprio il regista a sabotare la continuità del film, senza tuttavia sacrificare né il ritmo e lo slancio prodotti dalla successione di scene isolate, né il flusso continuo delle immagini, reso possibile proprio dal fatto che si trattava ancora di cinema muto ‒ che ormai, come era noto, aveva i giorni contati. Forse si trattava di un gesto provocatorio conforme all'epoca e alla militanza surrealista del regista: in fondo il film era soltanto un cortometraggio, un primo tentativo, e poteva permettersi una simile audacia senza correre troppi rischi; è persino probabile che, diversamente, esso non avrebbe causato quei disordini che, fin dal primo momento, lo resero istantaneamente e per sempre celebre.

Ma non è soltanto la mancanza di una successione cronologica ciò che rende quasi impossibile 'raccontare' Un chien andalou; anche dal punto di vista spaziale l'ambiguità pervade ogni scena. Non è difficile attraversarne la vertiginosa visione, poiché i meccanismi di sorpresa e attrazione messi in atto provocano comunque una tensione nello spettatore. È invece impossibile ripensare al film ‒ per la sua frammentarietà, le sue variazioni di tono, l'incertezza dominante e gli improvvisi cambiamenti di direzione ‒ senza che l'esperienza continui a risultare profondamente disturbante. L'aggressione all'organo che sancisce la nostra condizione di spettatori, nella sequenza iniziale, indica che a Buñuel non interessano la trama o i personaggi del film, quanto colpire chi guarda: sono i nostri occhi, più di quelli dell'attrice, a subire ‒ e precisamente per mano di Buñuel ‒ un'aggressione che costringe quasi tutti gli spettatori a chiuderli (si tratta della scena più nota e meno vista della storia del cinema, di quella maggiormente immaginata) e che condiziona l'intera proiezione. Un chien andalou non è soltanto un pretesto per questa scena, sicuramente immaginata o sognata da Buñuel (o da Dalí, visto che nei suoi quadri esistono immagini simili), ma la sua ieratica violenza la trasforma nel momento più alto del film e nel gesto fondativo dell'intera opera buñueliana, obbligata a rendere onore a questa sfida lanciata al resto del cinema. "Octavio Paz ha detto: 'basta che un uomo incatenato chiuda gli occhi, perché possa far esplodere il mondo', e io, parafrasando, aggiungo: basterebbe che la palpebra bianca dello schermo riflettesse la luce che le è propria, per far saltare l'universo" (Luis Buñuel, in una conferenza all'Università di Città del Messico, nell'autunno del 1958).

BIBLIOGRAFIA

J.B. Brunius, Un chien andalou, in "La revue du cinéma", n. 4, octobre 1929.

J. Demeure, Luis Buñuel, poète de la cruauté, in "Positif", n. 10, 1954.

A. Kyrou, Luis Buñuel, Paris 1962.

P. Renaud, Un symbolisme au second degré: 'Un chien andalou', in "Études cinématographiques", n. 22-23, printemps 1963.

L. Williams, The Prologue to 'Un chien andalou': a Surrealist Film Metaphor, in "Screen", n. 4, winter 1976/77.

A. Thiher, Surrealism's Enduring Bite: 'Un chien andalou', in "Literature/Film Quarterly", n. 1, winter 1977.

Ph. Drummond, Textual Space in 'Un chien andalou', in "Screen", n. 3, autumn 1977.

I. Walker, Once Upon a Time…, in "Sight & Sound", n. 1, winter 1977/78.

M. Canosa, L'occhio e il suo doppio (la prima sequenza di 'Un chien andalou'), in "Cinema e cinema", n. 18-19, gennaio-giugno 1979.

'Un chien andalou': lectures et relectures, a cura di Ph. Dubois, E. Arnoldy, in "Revue belge du cinéma", n. 33-35, 1993.

C. Murcia, Un chien andalou/L'âge d'or. Étude critique, Paris 1994.

P. Bertetto, Il prologo di 'Un chien andalou', in "Bianco e nero", n. 3-4, maggio-agosto 1999.

Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 27-28, juin 1963.

Nel 1960, sotto la direzione di Buñuel, è stata aggiunta una colonna sonora al film. Buñuel ha usato la stessa musica che eseguì (usando registrazioni fonografiche) alla proiezione del 1929: il Liebestod dal Tristano e Isotta di Richard Wagner e due tango argentini.

di Miguel Marías - Enciclopedia del Cinema (2004)

Clásicos //

Il film è un susseguirsi di scene senza apparente connessione, che causa nello spettatore l’impressione di assistere alla messa in scena di un delirio onirico. In realtà vi sono contenuti significati molto profondi, leggibili alla luce della psicanalisi, che sono stati oggetto di numerosi studi.

La primissima scena è una delle più terrificanti dell’intera storia del cinema: il regista stesso, dopo aver guardato la luna, affila un rasoio e si avvicina a una donna seduta alla quale tiene ben aperto l’occhio sinistro; nella inquadratura successiva taglia l’occhio in due (in realtà un trucco di montaggio, col taglio dell’occhio di un vitello morto). La scena è emblematica della rivoluzione visiva surrealista, che intende squarciare l’occhio dello spettatore per fargli vedere, anche a costo di grandi sofferenze, tutto quello che non ha mai visto e forse non ha mai voluto vedere. Buñuel compie comunque due operazioni – tagliare e osservare – interpretabili anche come azioni fondamentali per qualsiasi regista nella fase di montaggio di un film.

Le didascalie sono cinque e completamente fuorvianti. Indicano momenti (c’era una volta, otto anni dopoalle tre del mattinosedici anni primain primavera) completamente slegati da quello che viene mostrato: sembrano suggerire un andamento ciclico della storia o comunque al di fuori del tempo, secondo uno schema che mira a costruire una situazione eterna e universale.

Il tema del film è quello di un uomo e una donna attratti reciprocamente da una pulsione erotica intensa e violenta (tra le prime rappresentazioni cinematografiche di una sensualità così esplicita), ma una serie di situazioni e figure si interpongono fra i due. Le visioni sembrano scaturire dall’inconscio più profondo dell’uomo (ricordi di scuola, il doppio, la scatola con gli oggetti cari), mentre la donna è quella che guarda, attende e cerca l’uomo, ma quando viene toccata lo respinge con orrore.

All’inizio l’uomo va in bicicletta, mentre una donna sta leggendo un libro in una casa, per poi buttarlo via: l’inquadratura mostra una pagina con La merlettaia di Vermeer, un simbolo della femminilità casalinga e tradizionale. La donna si affaccia alla finestra e vede l’uomo in bicicletta che passa e cade proprio davanti alla sua porta. Allora scende e, trovandolo ancora immobile, con una misteriosa scatola a righe al collo, lo soccorre e lo bacia. Tornata in casa apre la scatola a righe e vi trova una cravatta a righe, avvolta in carta anch’essa a righe, che ella mette in un colletto di cartone, ricreando sul letto la forma dell’uomo con i suoi abiti distesi. Si siede poi ad aspettare guardando il letto finché non si accorge dell’uomo nella stanza. Lui si sta guardando la mano, al centro della quale si trova un foro dal quale escono formiche (un’immagine che Dalí disse di aver sognato). Anche la donna si avvicina, allora sovvengono immagini sessuali (peluria di ascella, paragonata a un riccio di mare).

La scena successiva mostra un personaggio androgino, vestito da uomo ma dai tratti femminili, che per strada, in mezzo a una folla curiosa allontanata a stento da un poliziotto, tocca con un bastone una mano mozza. L’uomo e la donna guardano dalla finestra. L’androgino tiene in mano la stessa scatola a righe dell’uomo, per cui rappresenta forse una sua proiezione di femminilità. L’androgino resta solo con la scatola in mezzo alla strada e macchine gli passano vicino, finché una non lo investe, sorprendendo l’uomo. A quel punto lui è preso da un raptus sessuale e si dirige verso la donna, immobilizzandola contro un muro e toccandole con insistenza i seni, che lui immagina nudi, facendo un’espressione di intensa libido animalesca (arriva anche a sbavare). I seni diventano poi natiche nude e poi ancora seni, finché lei non lo respinge scappando per la stanza. Lui la insegue finché lei non resta in un angolo, minacciandolo con una racchetta. Allora lui inizia ad avvicinarsi malizioso, ma nell’incedere deve raccogliere due corde e trainare un misterioso fardello, che si scopre essere composto da due tavole che sembrano quelle dei Dieci Comandamenti, due pianoforti con sopra una carcassa putrefatta d’asino ciascuno, ai quali sono legati anche alcuni preti distesi (simbolo dei freni alla sessualità posti dalla Chiesa e dalla società). Uno dei due preti era interpretato da Dalí, ma poi nella scena montata fu sostituito da un altro attore; per un errore, però, è possibile vedere Dalí per pochi fotogrammi la prima volta che vengono inquadrati i due preti.

La donna allora fugge e blocca nella porta la mano dell’uomo, dalla quale escono ancora le formiche. Poco dopo lei lo rivede nel letto malato, con la scatola a righe al collo. Un altro uomo viene a fare visita e suona un campanello (che ha il rumore di uno shaker, mostrato nell’inquadratura successiva). Entra e si avventa contro l’uomo malato e poco dopo si scopre che è la stessa persona. Crudelmente l’uomo strappa all’alter ego malato la scatola e tutti gli accessori della sua vita precedente, scaraventandoli fuori dalla finestra. Poi l’alter-ego mette l’uomo in castigo e lo fa tornare sui banchi di scuola, commiserandolo. Mentre fa per andare via l’uomo blocca l’alter ego e lo elimina sparandogli. Esso muore allora all’aperto, aggrappandosi alla schiena di una donna.

L’uomo liberato passeggia allora all’aperto con un amico e viene invitato a vedere l’uomo ucciso, che viene poi portato via in una sorta di corteo funebre.

La donna torna a casa e vede sul muro il simbolo macabro della farfalla Sfinge testa di morto, con il teschio sul corpo. Si trova davanti l’uomo e lo sgrida, ma lui ha perso la bocca: al suo posto ha i peli d’ascella, che lei non ha più. Lei se ne va offesa, facendo la linguaccia e i due si ritrovano sul mare. Adesso è lei a cercare l’uomo, ma lui sembra distaccato, le mostra solo l’orologio. Lei allora lo bacia e lui si riscalda, abbracciandola. Iniziano allora a passeggiare finché l’uomo non nota sulla riva i resti della scatola a righe e gli oggetti della sua vita passata, che scansa ridendoci su. I due s’incamminano allora abbracciati e felici, ma l’ultima scena (Au printemps) è demoralizzante: i due sono sepolti fino ai gomiti nella sabbia e sono vicini ma immobili, impossibilitati a toccarsi.

Il film ha l’obiettivo di provocare un impatto morale sullo spettatore attraverso l’aggressività delle immagini, offensive per l’epoca. È una temperie di assurdità, oniricità, stranezze, creatività che i surrealisti utilizzano per evidenziare l’inafferrabilità dell’esistenza e quindi la sua intrinseca meravigliosità.

I critici hanno suggerito che Un chien andalou può essere compreso come un tipico pezzo buñueliano antiborghese e anticlericale. L’uomo che trascina il piano, gli asini e i preti è stato interpretato come un’allegoria del progresso dell’uomo verso il suo obiettivo che viene ostacolato dal peso delle convenzioni della società che è costretto a sopportare.

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