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Yana Wara

Yana-Wara

REGIA
Tito Catacora, Óscar Catacora

SCENEGGIATURA
Óscar Catacora

FOTOGRAFIA
Julio Gonzales F., Tito Catacora, Óscar Catacora

MONTAGGIO
Tito Catacora

PRODUZIONE
Cine Aymara Studios

CON
Luz Diana Mamami, Cecilio Quispe, José D. Calisaya, Juan Choquehuanca

ANNO
2023

NAZIONALITÀ
Perù

DURATA
104 min.

PREMI

  • Festival de Cine de Lima 2023:
    Miglior Film
  • Festival de Málaga 2024:
    in concorso

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Yana Wara

Yana-Wara

Capolavoro postumo del regista Óscar Catacora, il film racconta la storia di Evaristo, un ottantenne accusato della morte di sua nipote, la giovane Yana-Wara. Attraverso il suo racconto, la comunità e le autorità vengono a conoscenza della tragica vicenda della ragazza. Sontuosa fotografia in bianco e nero al servizio di un thriller impregnato di realismo magico. Yana-Wara è uno sguardo unico e penetrante sulle tradizioni millenarie delle comunità andine degli Aymara, delle loro profonde radici culturali e spirituali.

Latinoamericana //

È sempre affascinante sentire la presenza del sacro nell’arte, soprattutto quando questa affonda le sue radici in tradizioni millenarie e le mostra narrativamente con tutte le loro conseguenze nel presente, cercando di emulare con crudezza l’irrevocabilità della tragedia greca. Questo è il caso di “Yana-Wara”, il notevole film postumo del regista di Puno Óscar Catacora, che è morto poco dopo l’inizio delle riprese, venendo completato dallo zio, anch’egli cineasta, Tito Catacora.

Sotto l’ombra di “Wiñaypacha”
Ricordiamo che Tito è stato il produttore di “Wiñaypacha” (“Eternità” in spagnolo), straordinario lavoro del suo nipote e uno dei film più importanti degli ultimi anni in Perù. “Yana-Wara” continua il percorso del suo predecessore, anche se – secondo quanto testimoniato da Tito – Óscar avrebbe realizzato un film diverso; ciò che non sapremo mai, né vedremo.

Il film in questione condivide con il suo predecessore il fatto di essere una tragedia, di essere interamente parlato in aymara, di fare uso di inquadrature fisse e attori non professionisti, di svolgersi principalmente in esterni e in aree marginali (o remote) delle zone alte di Puno. Ma differiscono in aspetti importanti: 1) “Wiñaypacha” è un film a colori e fa un uso intensivo del paesaggio, mentre “Yana-Wara” è in bianco e nero, e il peso dell’ambiente naturale – in confronto – è minore; 2) il primo ha un’azione piuttosto circoscritta, genera simpatia e sviluppa una narrazione lineare, mentre la trama del secondo è più sviluppata, controversa e presenta una narrativa complessa (racconto, violenza contro le donne, riferimenti alla situazione politica peruviana e componenti magico-religiosi con tocchi di cinema horror); e 3) nel primo non c’è presenza dello Stato, mentre nel secondo sì, ed è molto significativa, seppur puntuale.

Il film inizia con il giudizio comunitario di Evaristo (Cecilio Quispe), di 80 anni, per l’omicidio di sua nipote Yana-Wara (Luz Diana Mamani), di 13 anni. Il nonno racconterà alla comunità e alle sue autorità la tragica storia della bambina, che sarà sviluppata audiovisivamente; dopodiché, la comunità prenderà decisioni in base alla sua giustizia tradizionale. Questo è un film in cui, fin dall’inizio, viene enunciata la conclusione (quindi non sto facendo propriamente uno spoiler) e ciò che è interessante è come si arriva a quella conclusione; ma, inoltre, la stessa (e quasi prevedibile) conclusione offre un interesse aggiuntivo lasciando aperta la possibilità di interpretazioni contrastanti.

Distanziamento e isolamento

Il film è realizzato con grande economia di mezzi. La maggior parte si svolge in ambienti esterni desolati e grotte, mentre una percentuale minore di scene si svolge in una scuola, un luogo comune e un paio di capanne nel mezzo del paesaggio andino di Puno. Il film è composto esclusivamente da inquadrature con la telecamera ferma e con i personaggi che occasionalmente entrano o escono dall’inquadratura. Ci sono anche diversi momenti di violenza che avvengono fuori campo; tuttavia, ci sono altri momenti in cui il film mostra situazioni crudeli (la visione di un feto e l'”analisi” di una cavia aperta, entrambi da parte di sciamani), così come la stessa morte della protagonista (che ricorda una situazione simile nel notevole film galiziano “Las bestias”). Tuttavia, predomina un trattamento sobrio, seppur soffocante per la protagonista.

Nei piani aperti, i personaggi sono spesso in una posizione subordinata, cioè visivamente in un angolo dell’inquadratura o solo parzialmente mostrati; suggerendo una condizione di inferiorità o subordinazione, funzionale alla tragedia. Mentre nei relativamente pochi piani di insieme, i membri della comunità appaiono “stretti” nell’inquadratura, tranne alla fine in cui sono mostrati in fila in una ripresa frontale; enfatizzando la povertà dei luoghi e la qualità della vita. Il paesaggio naturale assume qui un aspetto selvaggio e talvolta desolato, se non minaccioso (in scene notturne e/o in grotte), il che è rafforzato sia dalla composizione delle inquadrature, sia dalla posizione dei protagonisti, sia dalla fotografia in bianco e nero (con momenti che confinano con l’espressionismo, oltre a immagini che potrebbero essere attribuite al soprannaturale).

Tutti questi componenti della messa in scena creano una sensazione di distanziamento e un certo ascetismo. Da qui la telecamera fissa, anche se in inquadrature di minor durata rispetto a “Wiñaypacha” e nonostante alcune persecuzioni; così come la tendenza alle inquadrature strette – che isolano (o, per usare una ripetizione, imprigionano) i personaggi – mentre nei piani aperti tendono ad essere in una situazione di vulnerabilità o pericolo. Tuttavia, la morte della protagonista rimane profondamente commovente.

Ma allo stesso tempo c’è una nudità emotiva; i personaggi non nascondono ciò che pensano né le loro intenzioni. Come in “Madeinusa”, il film di Claudia Llosa, l’azione si svolge in un mondo isolato e statico, cosa evidenziata dalle autorità comunali che avvertono – in momenti diversi – i personaggi (e successivamente, il resto della comunità) che devono tacere su ciò che è successo alle comunità vicine o agli stranieri. Questo avvertimento si spiega anche per le azioni illecite che vengono narrate.

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